RDC: un intervento miope.

La bugia elettorale

Nel programma elettorale del Movimento ereditato da Luigi Di Maio, del reddito di cittadinanza c’erano indicazione ben chiare: il sussidio sarebbe andato a 9 milioni di poveri, una famiglia di 4 persone «può arrivare a percepire anche 1.950 euro» al mese e che circa 2 miliardi sarebbero stati destinati al potenziamento dei centri pubblici per l’impiego che avrebbero gestito la riforma.

Col decreto-legge entrato in vigore il 29/01/2019, le carte in tavola però sono cambiate e di quelle promesse sono rimaste le briciole.
E’ stato stanziato solo un fondo di 9 miliardi l’anno dal 2019 per il reddito e la pensione di cittadinanza, rinviando a specifici provvedimenti, che il governo appunto ancora non ha preso, l’attuazione della misura. Del fondo fanno parte gli oltre 2 miliardi già stanziati dal governo Gentiloni per il Rei, il reddito di inclusione. Dei 9 miliardi, 7,1 dovrebbero servire al vero e proprio «reddito di cittadinanza», 900 milioni alla «pensione di cittadinanza» e un miliardo ai centri per l’impiego. Lo stanziamento, insomma, è stato dimezzato rispetto ai 17 miliardi del progetto iniziale dei 5 Stelle. E non a caso il governo ora parla di una platea di 5-6 milioni di beneficiari. I conti, però, non tornano lo stesso. Se prendiamo gli 8 miliardi destinati complessivamente a reddito e pensioni di cittadinanza e li dividiamo per i 5 milioni di persone in condizioni di «povertà assoluta» secondo l’Istat, otteniamo una media di 1.600 euro all’anno, cioè 133 euro al mese per 12 mesi. Anche riducendo l’erogazione a 9 mesi, perché ora si ipotizza che i primi assegni verranno pagati ad aprile, si sale solo a 177 euro al mese. Prendendo più correttamente a riferimento le famiglie in povertà assoluta (1,8 milioni) perché il requisito per ottenere il sussidio sarà l’Isee, cioè l’indicatore della ricchezza familiare, si ottiene che ad ogni famiglia dovrebbero andare in media 4.444 euro all’anno, cioè 370 euro al mese su 12 mesi o 493 euro su 9 mesi.

La coperta, insomma, era già corta prima dell’apertura della trattativa con Bruxelles. Non a caso i tecnici del governo avevano cominciato a mettere le mani avanti, spiegando che l’integrazione fino a 780 euro sarebbe andata solo a chi è in affitto mentre chi vive in casa di proprietà avrebbe avuto al massimo 500 euro. Venivano inoltre sottolineati i diversi paletti per ottenere il sussidio, tutti volti a restringere la platea: disponibilità a svolgere 8 ore a settimana di servizi di pubblica; obbligo di partecipare a corsi di formazione; di non rifiutare più di tre offerte di lavoro; di sottoporsi a controlli incrociati su quanto dichiarato con la pena del carcere fino a 6 anni in caso di truffa.

Effetti insufficienti

E se i dati riguardanti i destinatari del RDC sono di per sé già poco convincenti, quelli dell’impatto sul PIL di certo non rassicurano. L’impatto sulla crescita è stimato utilizzando il modello elaborato da Istat, stando al quale il moltiplicatore dei trasferimenti dallo Stato alle famiglie è di 0,2 il primo anno, 0,4 il secondo e 0,5 il terzo ma raggiunge il valore di 0,3 già il primo anno “nel caso in cui si consideri l’impatto del reddito di cittadinanza direttamente come uno shock positivo sui consumi delle famiglie”. Con questa premessa l’effetto positivo sul pil reale 2019 è calcolato in 1,8 miliardi, lo 0,11% del pil. A questo la relazione tecnica aggiunge però un impatto aggiuntivo di ben 1,2 miliardi, lo 0,07% del pil, che dovrebbe derivare dal miliardo destinato ai centri per l’impiego attraverso gli “effetti positivi sull’occupabilità della forza lavoro”. In questo caso dunque si stima un moltiplicatore di 1,2. L’effetto complessivo sul pil ammonta a poco più di 3 miliardi, pari allo 0,18% del pil e a meno della metà del fondo stanziato per tale manovra.

Per l’Italia che deve tener conto di un debito che supera il 130% del PIL, appare una mossa azzardata nonostante, come sostiene Tridico “più persone passano da inattivi a disoccupati più sale il PIL potenziale, per cui si apre uno spazio fiscale aggiuntivo”. Puntare sugli investimenti avrebbe di certo spinto di più sulla crescita e a pensarlo lo è anche Andrea Roventini, professore associato all’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che nelle settimane di formazione del governo è stato in predicato di diventare ministro del Tesoro. Il professore parte dall’evidenza empirica che emerge da numerosi paper del Fondo monetario internazionale. “E l’evidenza empirica dice che a spingere di più la crescita sono gli investimenti pubblici, che hanno un moltiplicatore superiore a uno”.

Problemi irrisolti e non considerati.

Con la manovra pentastellata non s’interviene sulle cause strutturali della povertà, che in definitiva riconducono alla mancanza di capitale umano. Non si interviene neanche sulla principale soluzione del problema della disoccupazione, cioè la creazione di nuovi posti di lavoro. La condizionalità, poi, implica che si debbano accettare i lavori proposti dai centri per l’impiego, altrimenti si perde il diritto al reddito. Ma se lavori non ce ne sono che cosa si potrà offrire? E in base a quali criteri quel determinato lavoro sarà ritenuto “congruo” alle capacità e alle precedenti esperienze di lavoro già maturate? Se oggi, poi, percepisco il reddito di cittadinanza e domani inizio a lavorare, perderò il beneficio e questo andrà a disincentivare la ricerca effettiva di un lavoro soprattutto in meridione dove 780€ molte attività neanche possono permettersi di offrirli. Che effetti avrebbe poi sull’efficienza del mercato del lavoro lasciare che le imprese domandino liberamente lavoro e contemporaneamente obbligare i lavoratori ad accettarlo per non perdere i benefici del sostegno al reddito? Non saranno forse gli stessi “disoccupati” a cercare impiego in nero per poter usufruire oltre al reddito di cittadinanza di un posto di lavoro, sicuramente più conveniente anche per le aziende non dovendo pagare contributi?

Riporto inoltre la pungente osservazione sulla peculiarità dei consumi fatta dal Prof.re Daveri, docente di Economia alla Sda Bocconi dove dirige l’Mba: “Gran parte dei consumi aggiuntivi riguarderà prodotti importati” – “Se davvero il reddito sarà versato su un bancomat e chi lo riceve sarà obbligato a spenderlo come fosse un buono pasto, un impatto sui consumi ci sarà”, concede Daveri “Ma anche con questa impostazione c’è un rischio”, avverte. “Gran parte di quello che c’è sugli scaffali dei discount e dei supermercati è fatto dalle multinazionali. Le nostre aziende non fanno merendine e telefonini low cost, le nostre specializzazioni sono altre. Visto che non mi immagino i destinatari del reddito che fanno la spesa da Eataly, credo che il grosso dei consumi aggiuntivi andrà su prodotti di importazione. A meno che non si intenda dare una lista di prodotti tra cui scegliere, cosa che mi fa pensare a un mondo sconfitto nel 1990″.

Concludo la mia critica a questa azzeccata formula di marketing con un’altra citazione del Prof.re Daveri:

“A chi è senza lavoro bisogna dare la canna da pesca, non il pesce”.


L’articolo si conclude qui. Vi ricordo che questa rubrica nasce per far sì che, tramite il confronto tra idee, ognuno possa costruire la propria opinione criticamente, spezzando il meccanismo della bolla informativa.
Dunque vi invito a leggere gli articoli degli altri redattori:

Mentre per la prefazione di questi articoli il link è questo.

Buona lettura!

3 pensieri su “RDC: un intervento miope.

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